Thursday, October 05, 2006
Random (esperimenti di scrittura)
Amici e passioni
Il sedile di pietra era fresco, ed i ragazzi ci si sedevano volentieri durante le serate estive : era una consuetudine trovarsi dopo cena a scambiare quattro chiacchiere prima di decidere cosa fare .
A volte restavano per ore a parlare non accorgendosi del tempo che passava, quando poi guardavano l’orologio si rendevano conto che anche quella notte avrebbero dormito tre o quattro ore prima che la sveglia tiranna li spedisse al lavoro.
Il sedile di pietra avrebbe potuto raccontare i sogni, le speranze e le disillusioni che aveva avuto modo di udire nel corso degli anni, oppure delle lacrime amare che i ragazzi avevano pianto quando la chiesetta, di cui le pietre facevano parte, era servita per vegliare Ugo così prematuramente morto in terra di Francia a causa di un incidente stradale, il gruppo di amici era rimasto come inebetito , la notizia li aveva colpiti come un maglio.
Alcuni come Carlo e Michel si erano dati da fare per rintracciare quelli di loro che a causa delle ferie non erano in paese, altri si erano dati da fare per sostenere la famiglia di Ugo, altri ancora per ottenere che al suo arrivo egli avrebbe potuto passare l’ultima notte assieme agli amici nella piccola chiesa.
Carlo era rimasto profondamente scosso da quanto era successo a Ugo, non era la prima volta che perdeva una persona cara: gli bruciava ancora dentro la tragica morte di Fulvia giunta però come conclusione di una vita al limite.
Pensava alla vitalità dell’amico ed alla sua allegria e se li comparava all’apatia e tristezza di Fulvia l’unica conclusione a cui riusciva a pensare era che per lei la morte era stata una liberazione mentre per Ugo un furto.
Pensava a quante cose avrebbe potuto realizzare l’amico scomparso, a quanti sogni avrebbe potuto dar vita e pensando a questo decise e si promise di non voler sprecare i giorni che aveva a disposizione, non aveva chiaro quello che avrebbe voluto fare ma era sicuro di voler cambiare la sua vita.
Quella sera andò all’allenamento e correndo assieme a Vitto suo grande amico e compagno in terza linea gli confidò i suoi pensieri:”Sai Vitto sono stanco delle solite cose, la morte di Ugo mi ha fatto capire che il tempo a nostra disposizione può finire troppo in fretta, per cui voglio fare altro ed ho già in mente qualche cosa “, l’amico lo guardò sorpreso e gli rispose: “ Cosa vorresti fare? Non penserai mica di lasciare il rugby e la nostra squadra: sei l’allenatore, il capitano ed escluso me il miglior giocatore!”.
Carlo guardò con affetto l’amico e sorridendo gli disse:” Per quest’anno sicuramente no, però credo che per il prossimo campionato io non sarò più qui, e devo dire che l’unica cosa che mi dispiace lasciare è proprio il rugby e la squadra!”
Il rugby era la grande passione della sua vita, si era innamorato presto di quella strana palla con le punte : l’aveva vista per la prima volta esposta in uno dei due negozi di articoli sportivi del suo paese, quattro spicchi di un bel cuoio dorato.
Si era chiesto il perché di quella forma e come si giocava, e poi che nome avesse lo sport in cui la si usava: entrato nel negozio aveva avuto le sue risposte anche se incomplete, “è il rugby, una cosa degli inglesi, si buttano in terra e devono portare la palla con le mani passandola indietro” gli disse il signor Ettore proprietario del nego-
zio, a otto anni Carlo non aveva un’idea precisa di chi fossero gli inglesi ma pensò che dovevano essere dei tipi strani.
Aveva pensato di farsela regalare per il suo compleanno, arrivato però al momento della scelta del regalo optò per un paio di romanzi(era un lettore appassionato), non aveva trovato nessuno a cui interessasse la palla bislunga e tanto meno gli inglesi.
La curiosità gli era però rimasta incollata addosso, come un francobollo ad una lettera, aveva poi avuto modo di vedere alla televisione alcune partite del torneo delle cinque nazioni ed anche una dei mitici Barbarians contro la nazionale della Nuova Zelanda: gli All Blacks.
Dopo diverse peripezie e tentativi riuscì finalmente a metter piede su un campo da rugby, non riuscì più a star senza quello sport: la sensazione di forza, amicizia e rispetto lo coinvolsero a fondo.
Tutto gli piaceva, la fatica degli allenamenti, l’uso della forza e soprattutto l’applicazione dell’intelligenza alla forza pura lo entusiasmavano; era come giocare agli scacchi con il vantaggio che si faceva all’aperto ed in tanti.
Pensò agli anni passati giocando su campi gelati o duri come il marmo, alle vittorie ed alle sconfitte, gli passarono davanti agli occhi i compagni di squadra con cui aveva passato tante ore in campo e quasi altrettante davanti ad una birra.
Ora molti di questi non li vedeva più da anni, con altri si sentiva saltuariamente o li incontrava a qualche partita della nazionale: era così strano il passaggio da una frequentazione quasi quotidiana all’oblio attuale.
I suoi ricordi andarono poi agli anni spesi ad allenare i suoi figli ed a quanto si era sentito orgoglioso di loro quando li vedeva fare qualche bella giocata, ricordava bene i placcaggi del più grande e la velocità sgusciante del secondo.
Carlo si accorse che i suoi pensieri cominciavano a spostarsi verso eventi più vicini nel tempo e decise che era meglio alzarsi per preparare il suo viaggio reale attraverso l’Africa che conosceva, rimandando il viaggio attraverso i ricordi ad un altro momento.
Si alzò e sentì nell’aria il profumo del pane fresco e delle uova fritte con il bacon, pensò che nonostante gli anni Francis non aveva perso il suo formidabile appetito e d’altra parte nemmeno lui.
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