Friday, November 17, 2006

Random (esperimenti di scrittura)


La valle del Teleki



Il vecchio fuoristrada avanzava senza problemi sulla pista sconnessa, anche se datato funzionava perfettamente; “Il vecchio Francis continua ad essere preciso come un orologio nelle manutenzioni” pensò Carlo.
Era partito presto quella mattina, un’abbondante colazione e poi via per la prima tappa del suo viaggio: il monte Kenya.
Aveva deciso di passare qualche giorno nelle foreste e sui fianchi della più alta montagna del paese, voleva camminare immerso nella natura e nella tranquillità per poter pensare meglio e riflettere sulla sua vita passata.
Aveva stilato un programma di massima: la montagna e dopo su fino al lago Turkana, voleva rivedere i luoghi della sua giovinezza e capire quanto e cosa era cambiato in quegli anni.
Aveva fatto tappa a Thika, una piccola cittadina poco distante da Nairobi, per comperare un po’ di banane e altri frutti, la zona era conosciuta principalmente a causa delle grandi piantagioni di ananas del famoso uomo che dice si.
Le file di ananas si estendevano a perdita d’occhio, si vedevano una miriade di persone intente a lavorare tra le piante: povera gente sottopagata e con pochi diritti che cercava di raggranellare un po’ di quattrini.
Anni prima una campagna di boicottaggio a livello internazionale contro la proprietà aveva prodotto qualche miglioramento nella qualità di vita dei lavoratori, ma dopo pochi anni tutto era tornato come prima.
Altra attrazione di Thika era la cascata dove venivano girati i film di Tarzan a metà del millenovecento, di tutta quella stagione era rimasto un ristorante con vista panoramica sulla cascata e qualche foto ingiallita delle stars americane.
Carlo aveva vissuto poco distante da li, in un villaggio chiamato Ndhitini, non voleva però passarci per cui proseguì deciso verso il monte Kenya.
Era finalmente arrivato a Naro Moru, punto di partenza per le ascensioni al monte.
Lasciò l’auto e dopo aver declinato l’offerta delle varie guide presenti si incamminò con passo deciso: era gia pomeriggio e voleva arrivare prima del buio alla Meteo Station dove avrebbe potuto pernottare in una delle casette a disposizione degli escursionisti.
Si incamminò lungo il sentiero che in circa tre ore lo avrebbe portato a destinazione, il sentiero si dipanava all’interno di una splendida foresta equatoriale di alberi d’alto fusto: canfori africani, macaranghe e altre essenze forestali venivano intrecciati da festoni di liane e altri rampicanti.
Si sentivano gli uccelli con i loro trilli e fischi e nel folto sottobosco si indovinavano i fruscii dei serpenti e delle loro vittime.
Carlo guardava affascinato lo splendido spettacolo che la natura gli offriva e si chiedeva fino a quando l’uomo avrebbe risparmiato quei posti.
Erano sempre più frequenti i gruppi di turisti che si prenotavano per le escursioni fino alla punta Lenana: per fortuna essendo praticamente impossibile il fai da te vi era un controllo abbastanza stretto da parte del governo e l’ambiente veniva rispettato.
Ad un tratto, subito dopo una svolta del sentiero, Carlo fu costretto ad immobilizzarsi: di fronte a lui si parava un enorme bufalo, un animale splendido le cui corna enormi ne rivelavano la piena maturità.
Quel che passò nella mente di Carlo però non fu solo ammirazione, ma una certa paura: il bufalo avrebbe potuto caricarlo e ferirlo seriamente se non peggio.
Cercò di ricordare i consigli di Francis riguardo gli incontri con gli animali selvaggi, stava ancora pensando quando sentì una voce che gli diceva:”rudi nyuma pole pole – torna indietro piano piano”.
Carlo retrocedette con cautela sempre guardando il bufalo, improvvisamente questi con uno scarto laterale si rituffo nella foresta e scomparve alla vista, si sentirono per un po’ i rumori fatti dal suo passaggio e poi calò nuovamente il silenzio.
“Asante sana – grazie molte” disse Carlo voltandosi per vedere colui che lo aveva aiutato: l’uomo che poteva avere una cinquantina d’anni portava l’uniforme dei ranger addetti al controllo ed alla protezione dell’ambiente e della fauna dei parchi.
Era indubbiamente di origine masai, lo rivelavano l’alta statura e il cranio dolicocefalo: queste erano le peculiarità che distinguevano le etnie nilotiche da quelle bantu, di solito questi ultimi erano più bassi di statura con il cranio più tondo e il naso camuso.
Da molti anni ormai alcuni degli antichi pastori e guerrieri masai avevano abbandonato la vita nomade per entrare a far parte del corpo dei ranger: questo gli permetteva di unire i vantaggi di una rendita fissa ad una buona dose di indipendenza e al contatto con la natura e il loro ambiente.
“Parli la nostra lingua, non è molto frequente incontrare uno mzungu – bianco – che la conosca. Io mi chiamo Pius Nzioka e visto che sto andando al meteo camp se vuoi possiamo proseguire assieme” così disse l’uomo rimettendo in spalla con fare indifferente il fucile che per precauzione aveva tenuto pronto.
“Ti ringrazio, sarò sicuramente più tranquillo e potremo scambiare due chiacchiere” rispose Carlo, dopo di che si incamminarono seguendo il sentiero nel folto della foresta.
Dopo un paio di ore erano arrivati a destinazione, durante la salita Carlo aveva domandato a Pius qualche informazione riguardo la situazione socio-econimica del paese, ricevendone in risposta un quadro preciso e disilluso.
Da quel che gli aveva raccontato Pius si era reso conto che la situazione in quegli anni non era poi cambiata di tanto: c’era stato un lieve peggioramento in quanto lo sperato sviluppo per mezzo delle grandi e piccole organizzazioni umanitarie non si era verificato, vuoi per un minore impegno sia economico e di personale sia per la disillusione della gente.
La maggior parte dei giovani preferivano tentar la fortuna nelle grandi città, dove poi finivano inesorabilmente ai margini, piuttosto che faticare nei campi o in incerte attività di artigianato e commercio nei loro villaggi.
Arrivati al campo avevano bevuto una birra assieme, dopo di che Pius si era congedato da Carlo dovendo proseguire verso il campo dei suoi colleghi.
Carlo aveva ottenuto una stanza e dopo una doccia per altro abbastanza fredda stava ora cenando con il pane e la frutta comperata a Thika, davanti a se aveva una cartina e stava controllando il percorso che l’indomani lo avrebbe portato al MacKinder’s camp a 4200 metri di altitudine, passando per la vertical bog (palude verticale) e la valle del Teleki.
Era l’alba e Carlo si apprestava a riprendere l’ascensione, l’aria era frizzante e il cielo limpido, aveva deciso di fermarsi al lago delle scritture e non raggiungere le cime.
Aveva bevuto un caffè in compagnia di un gruppo di turisti danesi e diviso con loro la frutta rimastagli, dopo di che gli aveva dato appuntamento al campo e li aveva lasciati partire: non voleva compagnia durante la salita, aveva bisogno del respiro della natura per pensare.
Era soddisfatto della sua forma fisica, la camminata del giorno precedente non aveva lasciato tracce, in gioventù avrebbe potuto fare le due tappe in un colpo solo, adesso però non sentiva più quella fretta che lo costringeva sempre ad andare avanti e cercare qualche cosa di nuovo.
Carlo stava camminando da un paio d’ore, la vegetazione era cambiata: adesso macchie di bambù giganti si alternavano a lobelie, erica e seneci.
Il caldo cominciava a farsi sentire e tutto intorno sembrava che la vita animale fosse scomparsa o addormentata, su in alto si intravedevano le cime Baitan e Nelion e Carlo pensava che non era difficile credere che quella vista maestosa avesse indotto i primi abitanti del luogo a pensare che fosse la dimora di dio.
Ci vollero altre tre ore prima che arrivasse al MacKinder’s camp, aveva attraversato la valle del Teleki e la vertical bog una sorta di palude che aumentava o diminuiva di dimensioni a seconda della stagione, era un punto privilegiato per vedere la fauna della zona, in quanto ricco d’acqua.
Aveva deciso di riposarsi un po’ presso il rifugio e recarsi poi al lago delle scritture che si trovava nelle vicinanze, lo specchio d’acqua doveva il suo nome alle alghe poste sul fondo che parevano delle iscrizioni, “forse leggerò le risposte che cerco” si disse Carlo senza accorgersi che non era solo.
“Alla tua età hai ancora molte questioni da risolvere?”, Carlo si voltò stupito sia per non aver visto l’interlocutore sia per il fatto di sentirsi interpellare in italiano, lo stupore aumentò quando vide una giovane donna in pantaloni da trekking e canottiera che gli sorrideva, “evidentemente ti ho posto una domanda in più, visto che sei rimasto come un baccalà invece di rispondermi” rincarò la ragazza con un tono divertito.
“Ad ogni modo non sono un’apparizione, non sarai mica un prete? Sai io non sono la madonna e qui non siamo a Lourdes”, dicendo questo la ragazza si avvicinò a Carlo tendendogli la mano: “Piacere, mi chiamo Giulia e sono geologa, o meglio laureanda, sono qua per la mia tesi”.
Carlo guardò con ammirazione la ragazza: ben proporzionata e con tutte le curve al posto giusto, quello che colpiva di più era però il viso con due splendidi occhi celesti ed i corti capelli castani.
“Piacere mio, mi chiamo Carlo” rispose imbarazzato per averla osservata a lungo, “stai studiando qualche roccia in particolare?”, la ragazza si guardò attorno e disse “ no, la mia tesi riguarda la formazione della Rift valley e dei maggiori gruppi montuosi, per cui vorrei vedere anche il Kilimanjaro ed i monti Virunga. E tu dove stai andando?”.
“Nell’immediato al lago delle scritture, vuoi accompagnarmi? Così se vuoi mi spieghi meglio il tuo programma”, la ragazza ci pensò un momento: “Va bene, aspetta che prendo lo zaino e una borraccia, volevo andarci anche io”.
Camminarono per circa un’ora ed infine arrivarono sulla riva del lago, in effetti le file ordinate di alghe che coprivano il fondo davano l’impressione di essere iscrizioni su di una pergamena, i due cercarono un posto comodo per sedersi ed iniziarono a parlare, da prima con una certa riluttanza dovuta nel caso di Carlo all’intenzione e preoccupazione di non essere indiscreto e non passare per il solito “pappagallo” per di più attempato ; per Giulia era diverso, non si sentiva oggetto di un interesse con connotazioni sessuali, ma si sentiva un po’ in soggezione davanti a quel uomo gentile ma burbero, le pareva di essere all’università davanti al professore.
Pian piano però il clima si rilassò e ambedue si accorsero di parlare con piacere e di raccontare anche più di quanto volevano: Carlo raccontò un po’ di se e dei suoi progetti africani, per contro Giulia gli raccontò delle sue difficoltà dovendo studiare e lavorare nello stesso tempo in quanto veniva da una situazione famigliare disagiata.
I suoi si erano separati al tempo della sua adolescenza e l’avevano usata come arma nelle loro ripicche, per cui non appena maggiorenne aveva deciso di andare a vivere per conto suo, aveva iniziato così a lavorare in una birreria e contemporaneamente si era iscritta all’università.
“Vedi, praticamente ti ho raccontato quasi tutta la mia vita, ti ho annoiato?”, la ragazza sorrise al vecchio dicendo queste parole, “no” disse lui: “per certi versi mi è sembrato di rivivere la mia situazione, ma adesso non voglio annoiarti con i miei ricordi”, la ragazza scosse il capo : “non mi annoieresti, però vedo che vuoi restare solo. Ci vediamo più tardi al campo.”, così dicendo si alzò e dopo averlo salutato imboccò il sentiero che l’avrebbe riportata indietro.

No comments: