Tuesday, January 30, 2007

PERSONAGGI: Elias Canetti



Elias Canetti nasce il 25 luglio 1905 a Ruscuk, in Bulgaria, da una famiglia sefardita che parla lo spagnolo del XV secolo. Dopo la morte del padre, insieme ai due fratelli, segue la madre in diverse città d'Europa: Zurigo, Francoforte, Vienna. Nel 1938, dopo l'Anschluss, emigra a Londra rimanendovi fino al 1971 quando decide di tornare a vivere a Zurigo, il "paradiso perduto" della sua adolescenza, in cui morirà il 14 agosto 1994. Durante la giovinezza, le relazioni e i viaggi contribuiscono a formare il suo pensiero, ad affinare il suo spirito, ad aprirlo al mondo, come pure a fargli prendere coscienza del ruolo del sapere in quanto motore della libertà. Nel 1931, due anni prima dell'avvento al potere di Adolf Hitler, fa il suo ingresso nella scena letteraria con lo sbalorditivo "Autodafè", il suo primo e unico romanzo, percorso da venature malinconiche e capace di esplorare a fondo gli abissi della solitudine, tema centrale del libro. Il protagonista è un intellettuale che viene metaforicamente divorato dal rogo dei suoi centomila volumi, inevitabile nemesi del mondo delle idee nei confronti del reale, punizione per l'uomo che sceglie di essere "tutto testa e niente corpo": l'intellettuale appunto. Ma il fuoco del romanzo è anche una chiara, preoccupata quanto visionaria anticipazione allegorica del totalitarismo, premonizione dell'autodistruzione della ragione occidentale. Sul piano espressivo, invece, non esiste migliore illustrazione di quella "lingua salvata" rappresentata dal tedesco, lingua che sua madre gli aveva insegnato per amore della Vienna imperiale, e che per loro rappresentava il centro della cultura europea e che Canetti cercherà di rivitalizzare alla luce dello "sfiguramento" della stessa che a suo dire è stato operato col tempo. Di notevole spessore è anche "Massa e potere" (1960), saggio sulla psicologia del controllo sociale, in questo assai affine, pur nei trentacinque anni di differenza, ad alcune tematiche di "Autodafé". Di rilievo è poi la straordinaria autobiografia, uno dei documenti più intensi del Novecento che, divisa in più volumi ("La lingua salvata", "Il frutto del fuoco" e "Il gioco degli occhi") e uscita fra il 1977 e il 1985 lo consacrano definitivamente come una delle voci più alte della letteratura di ogni tempo. I giurati di Stoccolma se ne accorgono e nel 1981 gli assegnano il più che meritato premio Nobel per la letteratura. Ricevendo il premio, nel discorso di ringraziamento, egli indica come suo "territorio" l'Europa di quattro scrittori di lingua tedesca vissuti nell'Austria di un tempo: Karl Kraus, Franz Kafka, Robert Musil e Hermann Broch, di cui riconosce l'ampio debito, così come nei confronti di tutta la tradizione viennese. Inoltre confesserà apertamente che la passione per la lettura, il gusto per le tragedie greche e i grandi autori della letteratura europea ebbero un'influenza determinante sulla sua opera.

Wednesday, January 17, 2007

OSPITI: Maddalena Bellagio


Lasciami pensare che possa essere amorePerché più è folle, dicono i libri, più è vero.Siamo cresciuti così, a rimpinzarci la testaDi convinzioni magari bislaccheMa funzionano ormai in noiE ci fanno emozionare decidere agire.Lasciami pensare che possa essere amorePerché più è folle, dicono i libri, più è vero.E allora bacio cerca bacioPelle cerca pelleMano cerca manoCuore cerca cuorePresente cerca futuroUn girotondo sempre più veloceUna giostra piena di lustrini e cavalli bianchiChe manda in orbita i mie sogni.Fa che non mi svegliSbattuta sulla terra nudaI capelli scarmigliatiIl viso devastato dallo stuporeDella realtà dell’albaAncora nella testa il ritornello:Lasciami pensare che possa essere amorePerché più è folle, dicono i libri, più è vero.

Tuesday, January 16, 2007

OSPITI: Morgause




*FRAÜLEIN**14/01/2007di morgause


So dove le rotaie
finiscono
e il treno continua
ad avanzare
nel silenzio.
So che sarà
una stazione
senza nome.
I miei capelli sono ariani,
hanno il colore
del grano maturo.
Il mio nome è pagano.
I miei occhi
più azzurri del cielo
di Baviera.
Ma lui vede la Stella di Davide
nel mio ombelico.
La porto
per il mio ultimo
spogliarello.

FRAÜLEIN !!

Qualcuno mi tocca,
per svegliarmi,
e la mia mano, vigliacca,
si alza a salutare
quell’uniforme
ruvida
che è un uomo.
Lui fora il biglietto,
con gesto deciso,
poi la sua faccia rotonda
mi sorride
nella luce del sole
come quella di un bambino
grasso.

FRAÜLEIN !!

Lo spettacolo
è solo rimandato:
conservate
i posti a sedere.


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Monday, January 15, 2007

Random (esperimenti di scrittura)



Polvere


La sera era fredda, a gennaio a Cuneo alle diciassette è notte fonda, l’uomo aspettava rabbrividendo dentro il suo giaccone, sotto i portici.
Cuneo è una città piccola per essere un capoluogo di provincia, ci abitano circa cinquantamila abitanti, la sua particolarità è quella di avere i portici per tutta la lunghezza dei corsi principali, ciò permette alla gente di passeggiare tranquillamente anche d’inverno e spostarsi agevolmente a piedi.
La neve ricopriva i tetti ed il cielo era plumbeo, promessa certa di nuove nevicate, l’uomo però non rabbrividiva per il freddo, no quello non avrebbe disturbato Carlo quello che lo faceva rabbrividire era il sopravvenire dell’astinenza.
Si era iniettato l’ultimo quartino di “roba” a metà giornata ed ora cominciava ad avvertire i brividi e la sudorazione caratteristica che precedevano la crisi, stava aspettando rassegnato l’arrivo del “cavallo” che gli avrebbe consegnato l’eroina.
Di solito Carlo si riforniva direttamente a Torino: all’inizio degli anni ottanta il mercato era in mano ai “catanesi”, erano loro ad aver introdotto nel capoluogo piemontese il brown sugar.
Quel giorno invece gli avevano telefonato dicendogli che sarebbero passati a Cuneo per degli affari e che se voleva gli avrebbero portato i suoi soliti cinque “pezzi”, Carlo aveva accettato contento all’idea di non doversi sbattere sulle strade coperte di neve.
I brividi aumentavano ma Carlo non gli dava peso, sapeva che i suoi fornitori non lo avrebbero tradito, anzi il leggero malessere gli era quasi gradito: d’altra parte la cosa bella della dipendenza è la dipendenza stessa e l’attimo in cui la si soddisfa così pensava lui.
L’uomo era arrivato, rapidamente soldi e roba cambiarono di mano: lui non controllò la busta e l’altro non contò i soldi, non c’era bisogno, era un rapporto commerciale e nonostante il genere, di fiducia.
Loro erano grossisti e lo conoscevano da prima della sua tossicodipendenza, lui dal suo canto guadagnava bene e vendendo una parte della roba riusciva a mantenersi il vizio: all’epoca la situazione a Cuneo era tranquilla ed i rischi pochi.
Carlo si affrettò verso casa, “è vero che il bello della dipendenza è la dipendenza” diceva parlottando da solo, “ adesso però sto male”, casa sua era poco lontano da Cuneo e in un quarto d’ora si ritrovò seduto in cucina a preparare l’eroina.
Aveva predisposto tutti gli arnesi del mestiere: cucchiaino, coltellino, acqua distillata, limone, accendino, cotone e ultima ma importantissima la siringa monouso: Carlo non voleva rischi inutili, l’epatite era sempre in agguato e da qualche tempo si vociferava di una nuova malattia che sembrava colpisse gli omosessuali e anche i tossici.
Il brown sugar è un tipo di eroina in pietre e non in polvere, Carlo sbriciolò con cura alcune pietrine servendosi del coltellino, mise la roba nel cucchiaino aggiunse l’acqua e il limone dopo di che cominciò a scaldare il composto.
Quando tutta l’eroina fu sciolta mise un minuscolo batuffolo di cotone nel cucchiaio ed attraverso quel filtro l’aspirò con la siringa: con calma fece uscire l’aria dalla siringa, poi si arrotolò la camicia, comparvero evidenti le vene senza bisogno di alcun laccio; a questo punto come sempre gli tornò in mente Fulvia ed il giorno in cui la ritrovò esanime a causa di una over dose.
“Forse questa volta ti raggiungo amore”, questo pensava tutte le volte prima di iniettarsi la dose: poi senza pensarci due volte conficcò l’ago nella vena, tirò indietro leggermente lo stantuffo e subito il sangue andò a mescolarsi con il liquido ambrato contenuto nella siringa, di colpo abbassò lo stantuffo e restò ad aspettare la vampa avvolgente a lui ben nota oppure l’oblio.
Anche questa volta non si ritrovò al cospetto di Fulvia, deluso tirò fuori dalla vena l’ago, gettò via la siringa e mise in una scatolina il filtro usato per aspirare l’eroina; questa era un’abitudine che qualsiasi tossico previdente aveva: in periodi di magra facendo bollire i filtri si riusciva a tirare fuori sufficiente roba da tamponare l’astinenza.
Carlo cominciò a suddividere la roba: confezionò le bustine che gli avrebbero permesso (una volta vendute) di ricomprarla e sistemò quella per il suo consumo nel solito vasetto di cristallo che teneva nella credenza insieme alle spezie da cucina.
Seduto sul divano ripensava a quando stava con Fulvia e con quanta testardaggine aveva provato a farla smettere, ricordava le liti con lei e con gli spacciatori (quegli stessi da cui ora si forniva), ora a distanza di pochi anni era anche lui precipitato nella stessa palude: era veramente una situazione ironica.
Era passato da strenuo avversario dell’eroina a suo adepto fedele, certo c’era un’attrazione macabra e una malcelata voglia di giungere finalmente alla fine, stette a riflettere ancora un po’ sugli avvenimenti passati e giunse alla conclusione che per adesso andava bene così, il tempo e la fortuna avrebbero deciso il suo destino.

Wednesday, January 10, 2007

PERSONAGGI: Nelson Mandela



«Non c'è nessuna facile strada per la libertà.»
(Nelson Mandela)


Nelson Rolihlahla Mandela, OM (Qunu, Transkei, 18 luglio 1918), primo Presidente del Sudafrica dopo la fine dell'apartheid. Fu a lungo uno dei leader del movimento anti-apartheid, e organizzò anche azioni di sabotaggio e guerriglia. Nel 1993 ricevette il Premio Nobel per la pace. Segregato e incarcerato per lunghi anni durante i Governi sudafricani pro-apartheid prima degli anni '90, è oggi universalmente considerato un eroico combattente per la libertà.
Il nome Madiba, titolo onorifico adottato dai membri anziani della sua famiglia, è divenuto in Sudafrica sinonimo di Nelson Mandela.

OSPITI: Molteni


NON SI PRENDE A CALCI UN UOMO DI 57 ANNI (non lo fare mai più che t’ammazzo)


Questo soggetto è un brutto servo scelto dal padrone (titolare dell’impresa)
uguale a tutti quelli della sua brutta razza (sono milioni)
cattivo e voce grossa con quelli appena sotto
sorrisi e denti gialli con quelli appena sopra
e io
nel lercio schema che trasporta in testa
sto proprio sopra a lui
guarda un po’
ah ah
sto sopra a lui
e quindi a me tocca lo spettacolo indecente della bocconata di denti zozzi
battute (oscene) e pure le pacche sulle spalle che parola mia m’arrivano con l’erpes
le evito in tutti i modi, dio m’è testimone
le scanso
gli lancio occhiate torve iniettate di sangue
gli blocco il braccio schifo
lo spingo via
gli urlo e sputo in faccia
E FERMO CO ‘STE MANI!
niente
s’impunta
peggio di un somaro piantato in salita che non sente né le bastonate
né i morsi nelle orecchie
tutto da capo
ogni volta ci riprova – s’è messo in testa di diventarmi amico st’animale -
ma la prima volta che l’ho visto, madonnina mia…
la prima volta la ricordo (dio m’è testimone, e anche la madonna)
la ricordo
in quel cantiere in cima al monte a meno sette gradi d’inverno
stava sopra a un tetto, paonazzo
piccolo e orrendo
come un diavolo smerdato scartato dall’inferno
ignobile e impestato
lui non solleva pesi - lui non fa sforzi - lui è il CAPO CANTIERE
urla ordini (che un’ora prima hanno urlato in faccia a lui)
e urlava a squarciagola a un poveraccio intirizzito alle sette del mattino di Febbraio
un rumeno
avrà avuto ventun anni
(lontano da tutto, perso in questa Americhetta inutile e imbecille)
perché ‘sto disgraziato doveva fare un buco nel muro
e s’era scordato a terra il TRAPANO CON LA PUNTA A TAZZA, pensa tu
era salito in cima al tetto (a rischio della vita - ovviamente)
ma non aveva capito bene l’ordine
(da 4 mesi in Italia, terra di poeti, di lingue antiche e musicali….
ma lui che se ne fa della lingua antica, con tutti ‘sti cazzo di dialetti
verbi e parole complicate)
e il TRAPANO CON LA PUNTA A TAZZA era rimasto a terra, pensa tu
come uno sputo in faccia a cristo sulla croce
come la colpa più enorme senza redenzione e senza rimedio
con questo bacherozzo lurido che badava a urlare a un centimetro dal naso del ragazzo
LA PUNTA A TAZZA, TESTA DI CAZZO, CHE T’HO DETTO? EH? CHE T’HO DETTO ?
T’HO DETTO LA PUNTA A TAZZA, RINCOGLIONITO !
……….ma io ke…non kapito…!
NON CAPITO…..UNA SEGA! VAFFANCULO TE E UNA PACCA DELLA ROMANIA!! CAPITE SOLO QUANDO CAZZO VI FA COMODO !
ADESSO RISCENDI E VAI A PIGLIARE STO CAZZO DI TRAPANO
CON LA PUNTA A TAZZA, DIO BESTIA, E CI VAI DI CORSA !!
CHE STAMATTINA TI BUTTO DI SOTTO DA STO TETTO, DIO BOIA!
TI CI BUTTO DI SOTTO, PAROLA MIA ! !
e ho visto da quella bocca quello scroscio immondo all’improvviso
come l’inferno che affiora in superficie
come la somma di tutti i crimini mondiali (non avevo preso ancora nemmeno il caffè)
un vomito eruttato dal centro buio della terra da tutti i demoni degli inferi
e in un secondo - in mattine come queste - crolla tutto nella polvere dei calcinacci
tra le macerie della carne volenterosa del pensiero e delle idee
di passione – ingegno – fantasia – impegno -
nella polvere
il gioco dei volumi e delle ombre e tutta la sociologia urbana e rurale
il magico formicolio delle tensioni
invisibili e potenti
che corrono precise senza sosta lungo le linee di forza
nelle vertebre delle strutture
dentro gli sbalzi nel vuoto, lungo le travi e i pilastri snelli
e tutti i materiali accostati e combinati nelle 3 dimensioni del quadro dello spazio
il poroton - l’acciaio - il cemento - la calce - il legno - gesso e cartone - lo zinco e l’alluminio
vernici all’acqua - tinte acriliche - a calce
che discutono oppure urlano sotto la luce
all’improvviso tutto spento
finito
Brunelleschi e il Buontalenti – Bernini – Borromini – Siza – Wright - Mies e Murcutt
finiti nella polvere in un istante, tutti lì,
tutto in un secondo
e non si recupera, non si recupera
quelle mattine finisce tutto e s’accumula il veleno
proprio dove cominciano cravatte assassine e valigette complici dopobarba da boia
brutti delinquenti
taglia gole
facce brutte (ma rasate) anime come la pece
voci come tagliole
contabilità truccate con varianti in corso d’opera triplicate
e poi truccate ancora per raddoppiarle un’altra volta (che si può fare, ma si che si può fare)
lavoro nero, compromessi come doglie come coliche renali
strette di mano unte e puzzolenti
sudore e umiliazioni
(e l’architettura?)
morti che non si sa perché dicono bianche senza senso
senza lacrime bigliettini col bordo nero e condoglianze
per risparmiare un ponteggio nuovo (25 Euro/mq) o un salva piede (1,30 Euro/m),
un cavo elettrico a norma (0,80 Euro/m)
un quadro elettrico a norma (282 Euro)
una puntazza in rame a norma per lo scarico a terra (18 Euro)
tanto per non precipitare giù tra chiodi e tavole
scaglie di mattone
col collo rotto
per non restare folgorati – attaccati – bruciacchiati come bestie a una barra che per mera distrazione
trasporta miliardi di elettroni
costa così la sicurezza,
la vita del ragazzo dalla Romania, un tot a metro quadro, o a metro lineare, neanche tanto
anzi poco
ma comunque tutto spreco che non serve,
solo spreco
che sti zozzi soldi
non sanno manco come spenderli, non sanno manco divertirsi
godono soltanto a vederne il mucchio come iene snaturate davanti al mucchio di carcasse

e che ci faccio io qui?
per forza me lo chiedo
mentre fisso immobile qualcosa d’impreciso e aspetto che tutto passi
ma non passa mai quelle mattine e s’accumula il veleno
come l’acqua nelle gobbe del cammello, s’accumula

e la mattina che conobbi quel insetto in cima a un tetto aggiunsi altro veleno
uno scroscio una cascata avvelenata
mentre dovevamo demolire
distruggere per sempre
un borgo millenario di pastori e legnaioli
il COMUNE con tutte le sue menti dirigenti lo abbatteva perché era abbandonato
per rifarlo molto bello, per i villeggianti
coi telecomandi le iacuzzi dentro ai cessi e le antenne sopra ai tetti.

Incarico accettato.
IO l’altro assassino, quello che ha firmato e timbrato, altroché
PROGETTISTA e DIRETTORE DEI LAVORI…
bello GROSSO sul cartello di cantiere :
MOLTENI – PROGETTISTA DELLE OPERE E DIRETTORE DEI LAVORI, bello
l’assassino a lettere maiuscole
morto di fame da cento anni senza scelta
inutile
sono io quello, che si sappia.

Però il capomastro sta a distanza, e ce lo tengo a tutta forza (almeno questo)
mentre sorride a me
copre di merda con le urla inferocite i carpentieri
e lo fa in contemporanea
se vedeste com’è bravo, mica tutti sono in grado
sorride e m’offre il caffè tutti i santi giorni non ne salta uno per dio
un caffè architetto? (32 denti gialli) e intanto
E TU MUOVITI PORCODDIO, T’HO DETTO MUOVITI CON QUEL FERRO !!
col caffè e il sorriso in mano…
….ma che caffè e caffè, diamoci una mossa
voglio andarmene da qui
voglia chiuderla al più presto
questa storia andata male
questa macchia nello stomaco questo aborto insanguinato
mentre fisso una barra ∅18 arrugginita penso a me ragazzo
architetto mezzo ubriaco che osserva il mondo con il vino per farselo piacere
e ne inventava ogni volta un altro nuovo in un’altra direzione per migliorare
qualche cosa in queste vostre vite di famiglia
in queste regole non mie – prese in mano e lavorate per voi soltanto
ero un ragazzo
di tutto quello c’è rimasto solo il vino

finché una mattina il CAPOMASTRO appena risalito di notte dall’inferno
ha dato un calcio in culo ad un uomo – gli ha dato un calcio nel culo
un operaio coi capelli bianchi più vecchio di vent’anni
moglie e tre figli a scuola
mutuo – libri utilitaria e bollette
che mi dice buongiorno e mi da sempre del lei – del voi a suo padre – mai una parola fuori posto un sorriso ogni mattina
non afferrai il motivo esatto
ma lo fece
gli appioppò un calcio in culo
davanti a me
davanti a tutti
e in quel preciso istante per il fatto troppo grosso
per la vergogna troppo enorme
si fermò tutto quanto
nei boschi e l’Appennino circostante
corsero a nascondersi E A OSSERVARCI INORRIDITI
scoiattoli e cinghiali le volpi, i tassi e i lupi
inorriditi dagli umani
e rimase tutto immobile per un tempo immenso
fino a quando l’uomo dai capelli bianchi alzò lo sguardo e mi guardò
e lo vidi a tavola in famiglia
la pagella di suo figlio e le lasagne calde dentro al piatto
aveva preso un calcio in culo lì davanti a tutti
non sapeva cosa fare mentre il lurido individuo urlava qualcos’altro d’indicibile e di orrendo
io e l’uomo che aveva preso il calcio ci guardammo
e decidemmo per quella mattina di ammazzarlo un’altra volta
la prossima

così montai sopra la cabina della ruspa
arrivata per distruggere
e gridai a dio e al conducente
AVANTI CON QUESTA BENNA, COMINCIAMO A DEMOLIRE !
mentre tutto il creato
nel massimo silenzio osservava noi
la somma sporca di tutti i nostri crimini.


PS – CAPOMASTRO, voglio dirti – lo devi sapere - che quel uomo ha tre figli, una moglie i capelli grigi e 57 anni. Ha la pancia e la schiena curva, ma gli hai visto mai le mani?
C’è sopra sei millimetri di cuoio, quello piega e ci fa un nodo a una barra ∅40 d’acciaio temperato. Solleva 4 sacche di cemento da 25Kg per volta, senza minimo sforzo.
Tiene in mano in pieno Agosto l’acciaio a 70°, d’inverno le barre ad aderenza migliorata ricoperte di ghiaccio e brina.
Lavora indifferentemente a 45° sopra un tetto d’estate dopo pranzo (due piccioni e 350g di tagliatelle al sugo) o a febbraio a -15° in cima a un monte coperto di neve gelata.
E sorride sempre, dice buongiorno a tutti.
CAPOMASTRO, hai colpito un componente dell’unica vera razza superiore, lo sai?
Ti strozza con una mano sola, mentre s’accende un MS. Ti stacca la testa con uno schiaffo solo, se volesse. Ma quel uomo superiore non ha colpito mai nessuno, un compagno di lavoro, un ubriaco dentro un bar, sua moglie o uno qualunque dei tre figli.
Il suo corpo e le sue mani sono mezzi di lavoro solamente.
CAPOMASTRO, non lo fare mai più, perché t’ammazzo io. E mi faccio senza battere ciglio trent’anni di galera (con le attenuanti generiche e la buona condotta dopo sei anni sono fuori. Torno lì, ammazzo tutta la tua famiglia e t’incendio la casa).


In fede, Architetto Marcello Molteni