Friday, December 15, 2006
2007 BUON ANNO
Si ricomincia, vorrei con questo nuovo anno inserire ogni tanto degli ospiti: pubblicherò scritti di vario genere che mi hanno colpito o che secondo me lasciano il segno oppure semplicemente perchè sono divertenti o mi son piaciuti. Chiaramente tutti gli autori saranno citati e se vorranno potranno intervenire nella zona commenti.
Friday, December 01, 2006
Random (esperimenti di scrittura)
La ruota del tempo
Effettivamente le parole di Giulia avevano riportato Carlo alla situazione da lui stesso vissuta durante l’adolescenza: i suoi genitori non andavano d’accordo e sovente litigavano.
Carlo non aveva mai capito bene di chi fosse la colpa, sapeva solo che il clima in casa a volte era pesantissimo, sua madre era molto gelosa e accusava il marito di tradirla con una conoscente, dal canto suo lui si protestava innocente e la tacciava di visionaria; dove fosse la verità Carlo non lo seppe mai e tutto sommato neanche gli interessava.
L’unica cosa che sapeva era che stava male, non sopportava il clima teso e le discussioni feroci a cui doveva assistere, anche quando le cose erano tranquille lui faceva attenzione a non creare problemi che avrebbero scatenato la tempesta.
Ricordava ancora con dispiacere la gita scolastica a Roma, a cui aveva rinunciato perché nei giorni in cui si doveva dare l’adesione in casa l’atmosfera era tesa e lui non aveva avuto il coraggio di chiedere nulla.
Sua madre era, secondo lui, la persona più triste che avesse mai conosciuto: da bambina si era sentita diagnosticare una malformazione cardiaca che l’avrebbe condiziona tutta la vita e che l’avrebbe poi portata alla morte ancora giovane.
Carlo ricordava bene la sera in cui tornando dalla Tanzania, dopo più di un anno di assenza, la prima notizia che ebbe all’aeroporto fu quella della morte di sua madre quello stesso pomeriggio all’età di cinquantatre anni.
Non aveva avuto una vita felice, dopo le scuole elementari aveva dovuto andare a lavorare: si era ritrovata in un laboratorio di sartoria gestito da due sorelle zitelle e avide, con la scusa che non sapeva far nulla e che le insegnavano un mestiere per i primi tre anni non le diedero neppure un centesimo.
Passarono gli anni e finalmente cominciò a guadagnare qualche soldo, poteva così aiutare la famiglia ed anche andare a ballare il sabato sera, fu durante uno di questi sabati che incontrò il papà di Carlo: era arrivato da poco in paese fresco di studi.
Tutti lo chiamavano ragioniere e lo trattavano con rispetto, era infatti il contabile della impresa edile più grande della provincia, era sempre ben vestito ed in ordine e per il fatto di essere di un’altra regione parlava sempre in italiano.
Non ci mise molto a far colpo sulle ragazze, soprattutto sulla giovane sartina e fu così che a soli diciotto anni lei si ritrovò incinta e costretta a sposarsi, non vi era altra possibilità per evitare lo scandalo.
Le cose non andarono male all’inizio ma con l’andare del tempo il rapporto tra i due coniugi si raffreddò molto, ad aggravare la cosa sopraggiunse una grave depressione che colpì la mamma di Carlo, depressione che degenerò in esaurimento nervoso.
Carlo ricordava con tristezza il volto buio ed in lacrime della madre, a volte sentiva una rabbia profonda verso i suoi genitori a causa della sofferenza che gli procuravano, subito dopo si vergognava di quel sentimento e cercava di star vicino alla madre.
Questa situazione andò avanti sino a quando Carlo fu chiamato ad assolvere i suoi doveri verso la patria, durante l’anno di servizio militare i suoi si separarono e lui decise che sarebbe andato a vivere da solo.
Un rapace che passò a volo radente sul lago strappò Carlo ai suoi ricordi, si accorse che il tempo era volato via, si alzò ed anche lui come già aveva fatto Giulia imboccò il sentiero che lo avrebbe riportato al campo.
Effettivamente le parole di Giulia avevano riportato Carlo alla situazione da lui stesso vissuta durante l’adolescenza: i suoi genitori non andavano d’accordo e sovente litigavano.
Carlo non aveva mai capito bene di chi fosse la colpa, sapeva solo che il clima in casa a volte era pesantissimo, sua madre era molto gelosa e accusava il marito di tradirla con una conoscente, dal canto suo lui si protestava innocente e la tacciava di visionaria; dove fosse la verità Carlo non lo seppe mai e tutto sommato neanche gli interessava.
L’unica cosa che sapeva era che stava male, non sopportava il clima teso e le discussioni feroci a cui doveva assistere, anche quando le cose erano tranquille lui faceva attenzione a non creare problemi che avrebbero scatenato la tempesta.
Ricordava ancora con dispiacere la gita scolastica a Roma, a cui aveva rinunciato perché nei giorni in cui si doveva dare l’adesione in casa l’atmosfera era tesa e lui non aveva avuto il coraggio di chiedere nulla.
Sua madre era, secondo lui, la persona più triste che avesse mai conosciuto: da bambina si era sentita diagnosticare una malformazione cardiaca che l’avrebbe condiziona tutta la vita e che l’avrebbe poi portata alla morte ancora giovane.
Carlo ricordava bene la sera in cui tornando dalla Tanzania, dopo più di un anno di assenza, la prima notizia che ebbe all’aeroporto fu quella della morte di sua madre quello stesso pomeriggio all’età di cinquantatre anni.
Non aveva avuto una vita felice, dopo le scuole elementari aveva dovuto andare a lavorare: si era ritrovata in un laboratorio di sartoria gestito da due sorelle zitelle e avide, con la scusa che non sapeva far nulla e che le insegnavano un mestiere per i primi tre anni non le diedero neppure un centesimo.
Passarono gli anni e finalmente cominciò a guadagnare qualche soldo, poteva così aiutare la famiglia ed anche andare a ballare il sabato sera, fu durante uno di questi sabati che incontrò il papà di Carlo: era arrivato da poco in paese fresco di studi.
Tutti lo chiamavano ragioniere e lo trattavano con rispetto, era infatti il contabile della impresa edile più grande della provincia, era sempre ben vestito ed in ordine e per il fatto di essere di un’altra regione parlava sempre in italiano.
Non ci mise molto a far colpo sulle ragazze, soprattutto sulla giovane sartina e fu così che a soli diciotto anni lei si ritrovò incinta e costretta a sposarsi, non vi era altra possibilità per evitare lo scandalo.
Le cose non andarono male all’inizio ma con l’andare del tempo il rapporto tra i due coniugi si raffreddò molto, ad aggravare la cosa sopraggiunse una grave depressione che colpì la mamma di Carlo, depressione che degenerò in esaurimento nervoso.
Carlo ricordava con tristezza il volto buio ed in lacrime della madre, a volte sentiva una rabbia profonda verso i suoi genitori a causa della sofferenza che gli procuravano, subito dopo si vergognava di quel sentimento e cercava di star vicino alla madre.
Questa situazione andò avanti sino a quando Carlo fu chiamato ad assolvere i suoi doveri verso la patria, durante l’anno di servizio militare i suoi si separarono e lui decise che sarebbe andato a vivere da solo.
Un rapace che passò a volo radente sul lago strappò Carlo ai suoi ricordi, si accorse che il tempo era volato via, si alzò ed anche lui come già aveva fatto Giulia imboccò il sentiero che lo avrebbe riportato al campo.
Tuesday, November 28, 2006
Regali di natale: meno sprechi e più aiuto
Il natale si avvicina e purtroppo la macchina commerciale è gia partita. Certamente anche io farò parte di quelli che spenderanno per fare i regali alle persone amate: è giusto e non vi è nulla di male. Ricordiamoci però anche di chi ha poco (la maggioranza nel mondo) e approfittiamo del natale per iniziare a fare qualche cosa che non si riduca alla mera elemosina legata alle feste.....
Friday, November 17, 2006
Random (esperimenti di scrittura)
La valle del Teleki
Il vecchio fuoristrada avanzava senza problemi sulla pista sconnessa, anche se datato funzionava perfettamente; “Il vecchio Francis continua ad essere preciso come un orologio nelle manutenzioni” pensò Carlo.
Era partito presto quella mattina, un’abbondante colazione e poi via per la prima tappa del suo viaggio: il monte Kenya.
Aveva deciso di passare qualche giorno nelle foreste e sui fianchi della più alta montagna del paese, voleva camminare immerso nella natura e nella tranquillità per poter pensare meglio e riflettere sulla sua vita passata.
Aveva stilato un programma di massima: la montagna e dopo su fino al lago Turkana, voleva rivedere i luoghi della sua giovinezza e capire quanto e cosa era cambiato in quegli anni.
Aveva fatto tappa a Thika, una piccola cittadina poco distante da Nairobi, per comperare un po’ di banane e altri frutti, la zona era conosciuta principalmente a causa delle grandi piantagioni di ananas del famoso uomo che dice si.
Le file di ananas si estendevano a perdita d’occhio, si vedevano una miriade di persone intente a lavorare tra le piante: povera gente sottopagata e con pochi diritti che cercava di raggranellare un po’ di quattrini.
Anni prima una campagna di boicottaggio a livello internazionale contro la proprietà aveva prodotto qualche miglioramento nella qualità di vita dei lavoratori, ma dopo pochi anni tutto era tornato come prima.
Altra attrazione di Thika era la cascata dove venivano girati i film di Tarzan a metà del millenovecento, di tutta quella stagione era rimasto un ristorante con vista panoramica sulla cascata e qualche foto ingiallita delle stars americane.
Carlo aveva vissuto poco distante da li, in un villaggio chiamato Ndhitini, non voleva però passarci per cui proseguì deciso verso il monte Kenya.
Era finalmente arrivato a Naro Moru, punto di partenza per le ascensioni al monte.
Lasciò l’auto e dopo aver declinato l’offerta delle varie guide presenti si incamminò con passo deciso: era gia pomeriggio e voleva arrivare prima del buio alla Meteo Station dove avrebbe potuto pernottare in una delle casette a disposizione degli escursionisti.
Si incamminò lungo il sentiero che in circa tre ore lo avrebbe portato a destinazione, il sentiero si dipanava all’interno di una splendida foresta equatoriale di alberi d’alto fusto: canfori africani, macaranghe e altre essenze forestali venivano intrecciati da festoni di liane e altri rampicanti.
Si sentivano gli uccelli con i loro trilli e fischi e nel folto sottobosco si indovinavano i fruscii dei serpenti e delle loro vittime.
Carlo guardava affascinato lo splendido spettacolo che la natura gli offriva e si chiedeva fino a quando l’uomo avrebbe risparmiato quei posti.
Erano sempre più frequenti i gruppi di turisti che si prenotavano per le escursioni fino alla punta Lenana: per fortuna essendo praticamente impossibile il fai da te vi era un controllo abbastanza stretto da parte del governo e l’ambiente veniva rispettato.
Ad un tratto, subito dopo una svolta del sentiero, Carlo fu costretto ad immobilizzarsi: di fronte a lui si parava un enorme bufalo, un animale splendido le cui corna enormi ne rivelavano la piena maturità.
Quel che passò nella mente di Carlo però non fu solo ammirazione, ma una certa paura: il bufalo avrebbe potuto caricarlo e ferirlo seriamente se non peggio.
Cercò di ricordare i consigli di Francis riguardo gli incontri con gli animali selvaggi, stava ancora pensando quando sentì una voce che gli diceva:”rudi nyuma pole pole – torna indietro piano piano”.
Carlo retrocedette con cautela sempre guardando il bufalo, improvvisamente questi con uno scarto laterale si rituffo nella foresta e scomparve alla vista, si sentirono per un po’ i rumori fatti dal suo passaggio e poi calò nuovamente il silenzio.
“Asante sana – grazie molte” disse Carlo voltandosi per vedere colui che lo aveva aiutato: l’uomo che poteva avere una cinquantina d’anni portava l’uniforme dei ranger addetti al controllo ed alla protezione dell’ambiente e della fauna dei parchi.
Era indubbiamente di origine masai, lo rivelavano l’alta statura e il cranio dolicocefalo: queste erano le peculiarità che distinguevano le etnie nilotiche da quelle bantu, di solito questi ultimi erano più bassi di statura con il cranio più tondo e il naso camuso.
Da molti anni ormai alcuni degli antichi pastori e guerrieri masai avevano abbandonato la vita nomade per entrare a far parte del corpo dei ranger: questo gli permetteva di unire i vantaggi di una rendita fissa ad una buona dose di indipendenza e al contatto con la natura e il loro ambiente.
“Parli la nostra lingua, non è molto frequente incontrare uno mzungu – bianco – che la conosca. Io mi chiamo Pius Nzioka e visto che sto andando al meteo camp se vuoi possiamo proseguire assieme” così disse l’uomo rimettendo in spalla con fare indifferente il fucile che per precauzione aveva tenuto pronto.
“Ti ringrazio, sarò sicuramente più tranquillo e potremo scambiare due chiacchiere” rispose Carlo, dopo di che si incamminarono seguendo il sentiero nel folto della foresta.
Dopo un paio di ore erano arrivati a destinazione, durante la salita Carlo aveva domandato a Pius qualche informazione riguardo la situazione socio-econimica del paese, ricevendone in risposta un quadro preciso e disilluso.
Da quel che gli aveva raccontato Pius si era reso conto che la situazione in quegli anni non era poi cambiata di tanto: c’era stato un lieve peggioramento in quanto lo sperato sviluppo per mezzo delle grandi e piccole organizzazioni umanitarie non si era verificato, vuoi per un minore impegno sia economico e di personale sia per la disillusione della gente.
La maggior parte dei giovani preferivano tentar la fortuna nelle grandi città, dove poi finivano inesorabilmente ai margini, piuttosto che faticare nei campi o in incerte attività di artigianato e commercio nei loro villaggi.
Arrivati al campo avevano bevuto una birra assieme, dopo di che Pius si era congedato da Carlo dovendo proseguire verso il campo dei suoi colleghi.
Carlo aveva ottenuto una stanza e dopo una doccia per altro abbastanza fredda stava ora cenando con il pane e la frutta comperata a Thika, davanti a se aveva una cartina e stava controllando il percorso che l’indomani lo avrebbe portato al MacKinder’s camp a 4200 metri di altitudine, passando per la vertical bog (palude verticale) e la valle del Teleki.
Era l’alba e Carlo si apprestava a riprendere l’ascensione, l’aria era frizzante e il cielo limpido, aveva deciso di fermarsi al lago delle scritture e non raggiungere le cime.
Aveva bevuto un caffè in compagnia di un gruppo di turisti danesi e diviso con loro la frutta rimastagli, dopo di che gli aveva dato appuntamento al campo e li aveva lasciati partire: non voleva compagnia durante la salita, aveva bisogno del respiro della natura per pensare.
Era soddisfatto della sua forma fisica, la camminata del giorno precedente non aveva lasciato tracce, in gioventù avrebbe potuto fare le due tappe in un colpo solo, adesso però non sentiva più quella fretta che lo costringeva sempre ad andare avanti e cercare qualche cosa di nuovo.
Carlo stava camminando da un paio d’ore, la vegetazione era cambiata: adesso macchie di bambù giganti si alternavano a lobelie, erica e seneci.
Il caldo cominciava a farsi sentire e tutto intorno sembrava che la vita animale fosse scomparsa o addormentata, su in alto si intravedevano le cime Baitan e Nelion e Carlo pensava che non era difficile credere che quella vista maestosa avesse indotto i primi abitanti del luogo a pensare che fosse la dimora di dio.
Ci vollero altre tre ore prima che arrivasse al MacKinder’s camp, aveva attraversato la valle del Teleki e la vertical bog una sorta di palude che aumentava o diminuiva di dimensioni a seconda della stagione, era un punto privilegiato per vedere la fauna della zona, in quanto ricco d’acqua.
Aveva deciso di riposarsi un po’ presso il rifugio e recarsi poi al lago delle scritture che si trovava nelle vicinanze, lo specchio d’acqua doveva il suo nome alle alghe poste sul fondo che parevano delle iscrizioni, “forse leggerò le risposte che cerco” si disse Carlo senza accorgersi che non era solo.
“Alla tua età hai ancora molte questioni da risolvere?”, Carlo si voltò stupito sia per non aver visto l’interlocutore sia per il fatto di sentirsi interpellare in italiano, lo stupore aumentò quando vide una giovane donna in pantaloni da trekking e canottiera che gli sorrideva, “evidentemente ti ho posto una domanda in più, visto che sei rimasto come un baccalà invece di rispondermi” rincarò la ragazza con un tono divertito.
“Ad ogni modo non sono un’apparizione, non sarai mica un prete? Sai io non sono la madonna e qui non siamo a Lourdes”, dicendo questo la ragazza si avvicinò a Carlo tendendogli la mano: “Piacere, mi chiamo Giulia e sono geologa, o meglio laureanda, sono qua per la mia tesi”.
Carlo guardò con ammirazione la ragazza: ben proporzionata e con tutte le curve al posto giusto, quello che colpiva di più era però il viso con due splendidi occhi celesti ed i corti capelli castani.
“Piacere mio, mi chiamo Carlo” rispose imbarazzato per averla osservata a lungo, “stai studiando qualche roccia in particolare?”, la ragazza si guardò attorno e disse “ no, la mia tesi riguarda la formazione della Rift valley e dei maggiori gruppi montuosi, per cui vorrei vedere anche il Kilimanjaro ed i monti Virunga. E tu dove stai andando?”.
“Nell’immediato al lago delle scritture, vuoi accompagnarmi? Così se vuoi mi spieghi meglio il tuo programma”, la ragazza ci pensò un momento: “Va bene, aspetta che prendo lo zaino e una borraccia, volevo andarci anche io”.
Camminarono per circa un’ora ed infine arrivarono sulla riva del lago, in effetti le file ordinate di alghe che coprivano il fondo davano l’impressione di essere iscrizioni su di una pergamena, i due cercarono un posto comodo per sedersi ed iniziarono a parlare, da prima con una certa riluttanza dovuta nel caso di Carlo all’intenzione e preoccupazione di non essere indiscreto e non passare per il solito “pappagallo” per di più attempato ; per Giulia era diverso, non si sentiva oggetto di un interesse con connotazioni sessuali, ma si sentiva un po’ in soggezione davanti a quel uomo gentile ma burbero, le pareva di essere all’università davanti al professore.
Pian piano però il clima si rilassò e ambedue si accorsero di parlare con piacere e di raccontare anche più di quanto volevano: Carlo raccontò un po’ di se e dei suoi progetti africani, per contro Giulia gli raccontò delle sue difficoltà dovendo studiare e lavorare nello stesso tempo in quanto veniva da una situazione famigliare disagiata.
I suoi si erano separati al tempo della sua adolescenza e l’avevano usata come arma nelle loro ripicche, per cui non appena maggiorenne aveva deciso di andare a vivere per conto suo, aveva iniziato così a lavorare in una birreria e contemporaneamente si era iscritta all’università.
“Vedi, praticamente ti ho raccontato quasi tutta la mia vita, ti ho annoiato?”, la ragazza sorrise al vecchio dicendo queste parole, “no” disse lui: “per certi versi mi è sembrato di rivivere la mia situazione, ma adesso non voglio annoiarti con i miei ricordi”, la ragazza scosse il capo : “non mi annoieresti, però vedo che vuoi restare solo. Ci vediamo più tardi al campo.”, così dicendo si alzò e dopo averlo salutato imboccò il sentiero che l’avrebbe riportata indietro.
Monday, November 13, 2006
Viaggi: Istanbul
Tuesday, November 07, 2006
test autunnali
Siamo in novembre e come tutti gli anni le squadre dell'emisfero sud vengono a sfidare i rivali europei.
Negli ultimi incontri, quelli disputati in giugno nell'emisfero sud, si sono viste belle partite e grandi giocatori: siamo nell'anno che precede il mondiale e questi sono gli ultimi test in preparazione della battaglia......
Thursday, October 05, 2006
Random (esperimenti di scrittura)
Amici e passioni
Il sedile di pietra era fresco, ed i ragazzi ci si sedevano volentieri durante le serate estive : era una consuetudine trovarsi dopo cena a scambiare quattro chiacchiere prima di decidere cosa fare .
A volte restavano per ore a parlare non accorgendosi del tempo che passava, quando poi guardavano l’orologio si rendevano conto che anche quella notte avrebbero dormito tre o quattro ore prima che la sveglia tiranna li spedisse al lavoro.
Il sedile di pietra avrebbe potuto raccontare i sogni, le speranze e le disillusioni che aveva avuto modo di udire nel corso degli anni, oppure delle lacrime amare che i ragazzi avevano pianto quando la chiesetta, di cui le pietre facevano parte, era servita per vegliare Ugo così prematuramente morto in terra di Francia a causa di un incidente stradale, il gruppo di amici era rimasto come inebetito , la notizia li aveva colpiti come un maglio.
Alcuni come Carlo e Michel si erano dati da fare per rintracciare quelli di loro che a causa delle ferie non erano in paese, altri si erano dati da fare per sostenere la famiglia di Ugo, altri ancora per ottenere che al suo arrivo egli avrebbe potuto passare l’ultima notte assieme agli amici nella piccola chiesa.
Carlo era rimasto profondamente scosso da quanto era successo a Ugo, non era la prima volta che perdeva una persona cara: gli bruciava ancora dentro la tragica morte di Fulvia giunta però come conclusione di una vita al limite.
Pensava alla vitalità dell’amico ed alla sua allegria e se li comparava all’apatia e tristezza di Fulvia l’unica conclusione a cui riusciva a pensare era che per lei la morte era stata una liberazione mentre per Ugo un furto.
Pensava a quante cose avrebbe potuto realizzare l’amico scomparso, a quanti sogni avrebbe potuto dar vita e pensando a questo decise e si promise di non voler sprecare i giorni che aveva a disposizione, non aveva chiaro quello che avrebbe voluto fare ma era sicuro di voler cambiare la sua vita.
Quella sera andò all’allenamento e correndo assieme a Vitto suo grande amico e compagno in terza linea gli confidò i suoi pensieri:”Sai Vitto sono stanco delle solite cose, la morte di Ugo mi ha fatto capire che il tempo a nostra disposizione può finire troppo in fretta, per cui voglio fare altro ed ho già in mente qualche cosa “, l’amico lo guardò sorpreso e gli rispose: “ Cosa vorresti fare? Non penserai mica di lasciare il rugby e la nostra squadra: sei l’allenatore, il capitano ed escluso me il miglior giocatore!”.
Carlo guardò con affetto l’amico e sorridendo gli disse:” Per quest’anno sicuramente no, però credo che per il prossimo campionato io non sarò più qui, e devo dire che l’unica cosa che mi dispiace lasciare è proprio il rugby e la squadra!”
Il rugby era la grande passione della sua vita, si era innamorato presto di quella strana palla con le punte : l’aveva vista per la prima volta esposta in uno dei due negozi di articoli sportivi del suo paese, quattro spicchi di un bel cuoio dorato.
Si era chiesto il perché di quella forma e come si giocava, e poi che nome avesse lo sport in cui la si usava: entrato nel negozio aveva avuto le sue risposte anche se incomplete, “è il rugby, una cosa degli inglesi, si buttano in terra e devono portare la palla con le mani passandola indietro” gli disse il signor Ettore proprietario del nego-
zio, a otto anni Carlo non aveva un’idea precisa di chi fossero gli inglesi ma pensò che dovevano essere dei tipi strani.
Aveva pensato di farsela regalare per il suo compleanno, arrivato però al momento della scelta del regalo optò per un paio di romanzi(era un lettore appassionato), non aveva trovato nessuno a cui interessasse la palla bislunga e tanto meno gli inglesi.
La curiosità gli era però rimasta incollata addosso, come un francobollo ad una lettera, aveva poi avuto modo di vedere alla televisione alcune partite del torneo delle cinque nazioni ed anche una dei mitici Barbarians contro la nazionale della Nuova Zelanda: gli All Blacks.
Dopo diverse peripezie e tentativi riuscì finalmente a metter piede su un campo da rugby, non riuscì più a star senza quello sport: la sensazione di forza, amicizia e rispetto lo coinvolsero a fondo.
Tutto gli piaceva, la fatica degli allenamenti, l’uso della forza e soprattutto l’applicazione dell’intelligenza alla forza pura lo entusiasmavano; era come giocare agli scacchi con il vantaggio che si faceva all’aperto ed in tanti.
Pensò agli anni passati giocando su campi gelati o duri come il marmo, alle vittorie ed alle sconfitte, gli passarono davanti agli occhi i compagni di squadra con cui aveva passato tante ore in campo e quasi altrettante davanti ad una birra.
Ora molti di questi non li vedeva più da anni, con altri si sentiva saltuariamente o li incontrava a qualche partita della nazionale: era così strano il passaggio da una frequentazione quasi quotidiana all’oblio attuale.
I suoi ricordi andarono poi agli anni spesi ad allenare i suoi figli ed a quanto si era sentito orgoglioso di loro quando li vedeva fare qualche bella giocata, ricordava bene i placcaggi del più grande e la velocità sgusciante del secondo.
Carlo si accorse che i suoi pensieri cominciavano a spostarsi verso eventi più vicini nel tempo e decise che era meglio alzarsi per preparare il suo viaggio reale attraverso l’Africa che conosceva, rimandando il viaggio attraverso i ricordi ad un altro momento.
Si alzò e sentì nell’aria il profumo del pane fresco e delle uova fritte con il bacon, pensò che nonostante gli anni Francis non aveva perso il suo formidabile appetito e d’altra parte nemmeno lui.
Monday, October 02, 2006
Viaggi: Lubecca
Friday, September 22, 2006
Random (esperimenti di scrittura)
Nairobi
Era finalmente tornato in Kenya, dopo ben sei anni di assenza ora ammirava il tramonto e le ombre che si allungavano sulle colline dello Ngong seduto comodamente sulla veranda di casa sua, accanto a lui sedeva Francis il guardiano della casa: era molto di più di un guardiano, per Carlo rappresentava un amico e una sicurezza a Nairobi. Stavano discorrendo di quei sei anni di assenza e Francis chiese:" L'ultima volta sei venuto con il tuo amico JeanPierre, come sta?" "Bene - rispose Carlo - sai che lui gira spesso in Francia e non lavora più, lo sento spesso e un po di volte l'anno ci vediamo." Carlo pensò all'amico che forse l'avrebbe raggiunto, dopo un po chiese:" Come stanno i tuoi figli Francis? ""Bene mandano avanti la farm e Mwepesi continua a correre la maratona." Mwepesi era stato la fortuna della famiglia: gran corridore si era messo in luce giovanissimo sulle distanze dei 5.000 e 10.000 metri vincendo un po ovunque,era passato poi alla maratona e aveva così rimpinguato le sostanze di famiglia, con i soldi vinti aveva acquistato terre e bestiame che i suoi fratelli curavano e gestivano.
Nella mente di Carlo si affollavano i primi giorni del suo arrivo in Kenya, l'ambiente non era molto diverso da quello della Tanzania, la gente si: gli era parsa subito più smaliziata e pronta a cogliere e sfruttare in modo molto disincantato tutti questi presunti benefattori.
Ricordava ancora di quando giunto all'aeroporto non aveva trovato nessuno ad aspettarlo: l'aveva presa in modo molto africano senza scomporsi troppo si era recato in centro e dopo essersi sistemato in un ostello di suore si era messo ad aspettare che qualche persona venisse a cercarlo.
Alla fine giunse alla missione dove avrebbe lavorato e li conobbe Francis: muratore,falegname,carpentiere,pittore,fabbro e ogni altro lavoro ci fosse da fare.
L'aveva colpito subito l'intelligenza dell'uomo e la capacità di vedere le cose e individuare le soluzioni solo immaginandosele, avevano cominciato a collaborare e poco a poco erano diventati amici, a Carlo piaceva molto fermarsi a discutere con l'amico davanti ad una tazza di thè e più raramente di una birra.
Non era stato facile lavorare alla missione: rapportarsi con i due preti e fargli capire che lui non era un loro dipendente ma aveva una sua autonomia aveva creato parecchia tensione ed alla fine portò alla rottura dei rapporti tra di loro.
Carlo tornò al presente e disse:" Ho voglia di fare un giro sia nell'ukambani che in Tanzania e poi voglio definire una questione qui riguardo alla casa." Francis lo osservò e disse" Per il viaggio non c'è problema la Toyota è a tua disposizione, puoi prenderla per tutto il tempo che ti occorrerà e per quanto riguarda la casa non hai che da dire." L'antico tuttofare versò per tutti e due una generosa dose di "antimalarico", così chiamavano il brandy che Carlo non mancava mai di mandargli, poi rimase in attesa della replica dell'amico.
“Va bene, ti ringrazio - disse Carlo – vorrei cominciare andando su fino al Turkana e poi dopo qualche altro giro tornare qui e organizzare il viaggio in Tanzania, nel frattempo dovrebbe arrivare Jean Pierre e tu dovresti accoglierlo.”
“Non ci sono problemi – replicò Francis – vado ad aspettarlo all’aeroporto come l’ultima volta?” e così dicendo sorrise ; a Carlo venne in mente che Francis si era presentato in compagnia di tre splendide ragazze Masai.
“Non credo sia necessario Francis, ormai le ragazze non sono più in cima alla lista delle sue preferenze, credo anzi che cominci a non sopportarle più del tutto.”
Nel frattempo Felicita la vecchia cuoca aveva apparecchiato la tavola e il profumo del riso “pilau” andava diffondendosi sotto la veranda raggiungendo i due uomini assorti nei loro discorsi, non appena si accorsero che era pronto si diressero con entusiasmo verso la tavola :”Erano anni che non mangiavo il pilau – disse Carlo – e se ricordo bene quello che fa la Felicita è stupendo” “Verissimo – rispose Francis – credo sia la cosa che fa meglio, anche se quando era più giovane la preferivo per altre specialità…” la Felicita sorrise e lo minacciò scherzosamente con l’acuminato coltello che usava per tagliare a pezzetti la carne di capra arrostita.
Mangiando discussero ancora del viaggio di Carlo e anche dei progetti che lo stesso aveva sulla casa, dopo cena decisero di andare in centro a fare due passi: Carlo voleva vedere cosa era cambiato o piuttosto se qualche cosa era cambiato in quegli anni di assenza. Passeggiarono a lungo per il centro e Carlo notò che erano aumentati terribilmente i bambini di strada e anche l’età delle ragazze che cercavano un uomo sedute ai tavolini dei bar era scesa molto, vide alcuni bianchi abbracciati con ragazze che potevano essere le loro nipoti e se ne vergognò.
“Non è giusto – disse a Francis – che questi bimbi e queste ragazze vengano derubati così presto dei loro sogni e delle loro speranze, conoscono troppo presto il marcio del mondo e delle persone”.
Quella notte dormì male e si svegliò parecchie volte: si trovò a pensare ai tempi della sua adolescenza e giovinezza ed alle esperienze legate a quel periodo.
Thursday, September 21, 2006
Volontariato internazionale
La mia esperienza come volontario è stata una delle cose più belle e formative della mia vita, credo che farebbe bene a molti. Poter vivere a contatto con culture differenti e accorgersi che non tutto si può avere (neppure con i soldi) e dover confrontarsi con difficoltà a noi sconosciute dà la possibilità di aprire la mente.....
Monday, September 11, 2006
Viaggi: Cuba
Un lungo viaggio attraverso Cuba, partendo da Santiago e arrivando a L'Habana, seguendo il percorso fatto dal Che con una deviazione a Baracoa prima capitale dell'isola e vero paradiso naturalistico. Un viaggio per vedere Cuba con Fidel presente, per poter capire cosa cambierà quando lui non ci sarà più............ Un'isola colma di paradossi e contraddizioni, gente a volte cordiale e spesso arrogante!
Thursday, September 07, 2006
Random (esperimenti di scrittura)
Fulvia
I bagagli erano quasi pronti, erano passate ormai tre settimane da quando Carlo era stato a Roussillon assieme a Jean Pierre, era ormai tempo di iniziare questo nuovo viaggio africano. In quel momento Carlo era seduto sul letto assorto nei suoi pensieri: rovistando nei cassetti alla ricerca del passaporto e di altri documenti aveva trovato una vecchia foto che lo ritraeva assieme ad una splendida ragazza bionda, vi era un contrasto enorme tra la bellezza del viso e la tristezza dei grandi occhi celesti......
Carlo stava uscendo dal bar dove si recava di solito, quando aveva visto Fulvia, così si chiamava la ragazza bionda, che cercava senza riuscirvi di far partire la vecchia Diane.
"Hai bisogno di una mano?- chiese Carlo. "Si volentieri ,non so perché ma oggi non ne vuole sapere". Si erano conosciuti così,anche se Carlo sapeva chi era perché il paese non era certo grande, era riuscito ad avviare la macchina e poi l'aveva invitata a bere un aperitivo. Lei aveva cortesemente rifiutato dicendo che aveva fretta, però si era detta disponibile al prossimo incontro casuale tra di loro, Carlo pensava che non sarebbe mai successo, lei aveva un giro diverso dal suo ed anche un paio di anni in più. Adesso i ricordi correvano più veloci : al contrario di quanto aveva pensato si erano rivisti, un aperitivo, in seguito una cena, una gita a Nizza finché una sera senza alcuna programmazione erano finiti a letto.
Ora la memoria fluiva di nuovo lenta: dopo quella prima notte trascorsa a casa di Carlo, che nonostante i suoi ventun anni viveva solo, si erano rivisti con una certa frequenza ed il loro legame era diventato a mano a mano più profondo fino a portarli a decidere di vivere assieme.
Vi era qualche cosa in Fulvia che però inquietava Carlo, a volte pareva assente oppure spariva per delle ore senza dare spiegazioni, lui sapeva che prima aveva avuto una relazione burrascosa con un tipo che ora stava in carcere.
Però i momenti di dolcezza erano superiori ai problemi o forse Carlo non voleva vederli: non si era mai sentito così legato ad una donna e pensava che nessuna altra storia gli avrebbe più dato le stesse cose. Il ricordo più bello di loro due era legato ad una vacanza molto breve passata a Barcellona, era inverno però la città era bellissima e si poteva passeggiare anche alla sera nella rambla, avevano preso alloggio in una piccola pensione vicino al porto e per i primi due giorni erano usciti pochissimo non riuscendo a staccarsi dal letto.
Poi però avevano cominciato a visitare la città e Carlo ancora rivedeva lo stupore negli occhi di lei davanti alla Sagrada Familia, o ancora il divertimento e le risa guardando gli artisti che affollavano le strade, la sera poi sedevano ai tavolini dei locali sulla rambla per ascoltare la musica.
Era stata una settimana fantastica e Carlo a volte non riusciva a credere che lei si fosse messa con lui: aveva sempre pensato di non essere all'altezza della sua bellezza, anche se aveva già avuto una donna decisamente attraente.
Per quel che ricordava Carlo quelli erano stati gli ultimi momenti veramente felici che trascorsero insieme : da lì a poco si sarebbe rivelato appieno chi possedeva realmente e pienamente Fulvia. I silenzi e le assenze di Fulvia si facevano sempre più frequenti e anche quando c'era non era più come prima, anche a letto dove erano sempre stati bene non vi era la stessa atmosfera intima ma allegra, alle domande di Carlo lei dava risposte vaghe o a volte molto nervose.
Una sera, in cui Carlo era dovuto tornare inaspettatamente a casa, capì il perché di quel cambiamento : era entrato senza far rumore e stava andando in camera quando vide Fulvia seduta davanti al tavolo della cucina che guardava come affascinata la siringa di vetro celeste in cui si vedeva un liquido ambrato, si trattava di eroina come seppe poi Carlo, lentamente la ragazza affondò l'ago nella vena del braccio e tirò lo stantuffo : subito il sangue rosso si mescolò alla sostanza e Fulvia se lo iniettò.
Durante questi pochi attimi Carlo restò immobile annientato, senza neanche riuscire a parlare, con gli occhi che si riempivano di lacrime e proprio in quel momento lei si accorse della sua presenza : il suo viso si irrigidì e disse" da quanto stai lì a spiarmi? Questa è una cosa mia e tu non ci devi entrare." Carlo non disse nulla le si avvicinò e la abbracciò, lei cercò di spingerlo via ma quasi immediatamente si mise a piangere.
Fulvia raccontò che ormai da alcuni anni faceva uso di eroina, ma se all'inizio lo faceva saltuariamente e la fumava negli ultimi mesi aveva sviluppato una grande dipendenza e per motivi economici aveva cominciato ad iniettarsela.
Carlo non sapeva cosa fare, si rendeva conto di trovarsi a fare i conti con una situazione più grande di lui, parlò a lungo con Fulvia chiedendole di farsi aiutare, ma lei disse di non voler sentir parlare di comunità o altri servizi.
Da allora le cose andarono sempre peggio, Carlo ricordava ancora la volta in cui aveva trovato sulla porta di casa un tizio che urlando chiedeva i soldi che Fulvia gli doveva: lui lo aveva gettato per le scale ingiungendogli di non farsi mai più rivedere.
Man mano che la situazione di lei degenerava e diventava evidente agli occhi della gente anche Carlo divenne oggetto di sospetti e commenti malevoli,ma cosa più grave si accorse di essere controllato dai carabinieri, a lui importava poco non poteva neanche pensare di lasciare Fulvia al suo destino.
Tutti gli sforzi erano però vani ne la persuasione ne le minacce, a cui non credeva neanche lui, di lasciarla al suo destino ottennero risultati se non momentanei o di poche settimane: finche un giorno tornando a casa Carlo vide Fulvia distesa sul letto, subito pensò si fosse impasticcata per mitigare l'astinenza, ma quasi subito si accorse della siringa e del cucchiaino usato per sciogliere l'eroina rovesciati in terra.
Con la paura che gli attanagliava lo stomaco si avvicinò al letto e vide Fulvia esanime con gli occhi celesti che sembravano guardarlo con un'aria di rimprovero, non aveva mai provato un dolore simile e una tale sensazione di vuoto e impotenza: passarono un paio d'ore prima che riuscisse a chiamare i genitori di lei.
L'eroina si era portata via la donna che forse lui aveva amato di più, ed ora si ritrovava solo e con una sensazione di vuoto che non lo lasciava ragionare, decise di rifugiarsi nello sport e nel lavoro in modo di non lasciare spazi e tempi ai propri pensieri.
Carlo non immaginava che nel corso degli anni avrebbe incontrato di nuovo la polvere bianca e che avrebbe combattuto ancora con lei, forse se lo avesse previsto la sua vita sarebbe stata meno complicata e più tranquilla: però non avrebbe visto luoghi e conosciuto persone per lui importanti.
Wednesday, September 06, 2006
Viaggi: Budapest
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